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La “rivoluzionaria” Madonna di Coppo per i Servi di Maria di Siena

E’ durante il Duecento che grazie alla spinta di una devozione semplice e appassionata l’arte inizia a liberarsi dagli schemi bizantini iniziando così un processo di umanizzazione, divenendo sempre più accessibile ai fedeli, capaci di guardare alla Madonna con uno sguardo familiare che si allontana dalla regale ieraticità delle madonne orientali.

Tra i primi artisti ad intraprendere questo percorso è senza dubbio Coppo di Marcolvaldo che nel 1261 dipinse per i frati Servi di Maria di Siena la “Madonna del Bordone”, un dipinto a tempera e oro su tavola (225X125 cm.),   dal nome del bastone dei pellegrini a cui era dedicata una cappella della Chiesa di Santa Maria dei Servi che ancora oggi lo conserva.

Coppo infatti si trovava a Siena come prigioniero, a seguito della sconfitta fiorentina nella battaglia di Montaperti del 1260 e per riscattarsi si impegnò a dipingere la tavola per i senesi.

Non colorò del suo sangue le acque dell’Arbia – ebbe a  scrivere  Piero Bargellini in “ Belvedere- Arte Romanica” – ma certamente dovette lacrimare fra i prigionieri condotti a Siena, dove i Servi di Maria gli ordinarono, per suo sollievo e consolazione , una Madonna Odigitria, cioè ancora nella tradizione bizantina. Il pittore fiorentino elaborò gli elementi dell’iconografia tradizionale, con una carica di sentimento e con un’energia di stile, da far saltare ogni freddo schema. Le stesse razzature d’oro, e i panneggiamenti a fitte pieghe angolose persero valore decorativo e assunsero una funzione di stilizzato dinamismo. Il volto, non più attonito e indifferente, prese un’espressione di mesta pensosità e di appassionato raccoglimento. Nelle opere successive, – prosegue Piero Bargellini – per il Duomo di Orvieto e per Santa Maria Maggiore di Firenze, le Madonne di Marcovaldo grandeggiarono sempre di più, quasi accogliendo il palpito di una devozione popolare vivace di speranze e agitata da lotte”.

L’opera che ammiriamo oggi è frutto di un rimaneggiamento operato alcuni decenni più tardi da una mano senese che aggiunse un velo chiaro attorno al volto di Maria e ridipinse le teste con tratti più sfumati rispetto all’originale, caratterizzato da un modellato robusto e pastoso e reso inconfondibile da quel senso volumetrico che fa di Coppo un rinnovatore degli stilemi sino ad allora dominanti al punto da divenire un punto di riferimento per i pittori della seconda metà del Duecento.

La divinità del Bambino viene umanizzata nello sguardo di tenerezza rivolto alla Madre, seduta in trono ma raffigurata di tre quarti con il Bambino sulle ginocchia e la mano destra che sorregge i piedini, di grande effetto le lumeggiature dei panneggi che, anche se ancora di forma spigolosa, restituiscono la sensazione di rotondità.

 

 

 

 

 

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