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Splendori e smalti dalla corte di Federico II

Federico II di Hohenstaufen,il sacro romano imperatore che parlava, oltre il tedesco, tutte le lingue del Mediterraneo, che amava l’Italia, il diritto romano, la caccia coi falconi, la cultura bizantina e islamica; il sovrano che si faceva scortare da una coorte di pretoriani saraceni, che edificò sulle colline di Puglia in vista del mare l’ottagono più bello del mondo e che si trovava a casa sua nella Palermo trilingue, araba greca e latina. E’ lui il grande Federico, il referente storico del libro che porta il suo nome e che fu confezionato per la terza moglie Isabella d’Inghilterra tra il 1235 e il 1237”. Sono le parole di Antonio Paolucci ad introdurre il commentario scientifico che accompagna l’edizione in facsimile del manoscritto riccardiano n. 323 che porta il nome di Libro dei Salmi di Federico II.

Commissionato da Federico II per la terza moglie, Isabella di Inghilterra, il codice membranaceo, attesta la politica dell’imperatore svevo che, rimasto vedovo di Jolanda di Brienne, volle legare le sue sorti a quelle di un potente casato straniero al fine di rafforzare il proprio potere oltre a costituire una tra le più raffinate espressioni della tradizione stilistica bizantina, reinterpretata secondo un gusto che conferisce nuova vita all’oro dei fondi e ai colori smaltati delle immagini.

Un libro straordinario che esprime l’amore per la cultura e in particolare per i libri che l’imperatore aveva, al punto di donare le opere aristoteliche all’Università di Bologna accompagnandola con una lettera in cui dirà “Le poche ore che restano libere dagli impegni di governo preferiamo dedicarle all’esercizio della lettura, affinché si rafforzi la disposizione dell’animo nell’acquisire il sapere, senza il quale la vita dei mortali non è condotta in modo degno di uomini liberi”.

Un manoscritto sintesi e specchio di tutte quelle tendenze cosmopolite che animavano la corte siciliana e che dettero vita a uno dei momenti più importanti per l’arte occidentale e per la letteratura. Nella moltitudine delle iniziali istoriate oltre ai personaggi delle sacre scritture ampio spazio è dedicato a un vasto bestiario liturgico che lascia trasparire il suo interesse per il mondo animale che lo porterà alla redazione del De arte venandi cum avibus, capolavoro dedicato all’esercizio della caccia con il falcone.

Un codice in cui l’interesse storico si fonde con quello artistico e la cui riproduzione è stata un’occasione unica per uno studio scientifico approfondito, dove accanto alla rievocazione storica dell’affascinante figura di Federico II hanno trovato spazio un’accurata analisi codicologica e un altrettanto puntuale commento iconografico, facendone in questo modo, non solo un mero godimento estetico ma anche un momento di approfondimento che permette di cogliere tutti gli aspetti di questo straordinario manoscritto.

Una autentica operazione culturale, destinata a perpetuare il valore della memoria storica pietra angolare della nostra identità nazionale.

L’edizione in facsimile che permette la più agevole consultazione, rispetto all’originale, e comunque non limitata al mondo degli specialisti ha il potere di restituirci la dimensione concreta e tangibile di un manufatto antico, il fascino insostituibile di un oggetto che si fa toccare e ammirare ma in particolar modo ha la capacità di rievocare la suggestione dell’antica corte di Federico II che ancora oggi è motivo di fascino e seduzione per quella spinta a conciliare tra loro culture diverse.

 

 

 

 

 

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