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Michelangelo. Quella Leda “poca cosa” che tanta arte avrebbe ispirato

Questa Leda era rappresentata in uno stato così vivido e lascivo di amore appassionato che M. de Noyers, ministro di stato sotto Luigi XIII, la fece bruciare“. Una fonte del 1699 annuncerebbe così la distruzione del celebre dipinto che Michelangelo realizzò per il Duca Alfonso I D’Este nel 1529 durante il suo soggiorno a Ferrara in veste di sovrintendente alle fortificazioni della Repubblica fiorentina.

Si tratterebbe di un “quadrone da sala” raffigurante “Leda e il Cigno” che come ci ha riportato il Vasari ” fu cosa divina“, dipinta a “tempera col fiato” in cui Leda ” abbraccia il Cigno e Castore e Polluce che uscivano dall’uovo”. Dipinto che però non giunse mai a Ferrara in quanto mal giudicato dal messo ducale che al cospetto di Michelangelo lo definì “poca cosa” e che invece venne donato dallo stesso Michelangelo al suo garzone Antonio Mini che lo portò in Francia insieme ad altri disegni e al cartone preparatorio per il dipinto, fino a che non giunse nelle collezioni di Francesco I a Fointenbleau.

La distruzione dell’opera ci ha privato di un grande capolavoro di Michelangelo ma la sua fortuna è giunta sino a noi per aver ispirato numerose copie, incisioni, derivazioni realizzate nelle tecniche più diverse, come il dipinto attribuito a Rosso Fiorentino e oggi conservato alla National Gallery di Londra o l’incisione al bulino di Etienne Delaune conservata presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e ancora nelle opere di Cornelis Bos e Nicolaus Beatrizet. In queste due incisioni si ritrovano sia l’uovo che la coppia dei Dioscuri che, oltre al  Cigno, sono gli attributi distintivi di Leda a cui alludono le fonti in merito al modello michelangiolesco.

E’ probabile che il dipinto sia stato preceduto da alcuni disegni come quello conservato nella collezione di Casa Buonarroti “Studi per la Testa di Leda” e selezionato da Cristina Casoli per l’opera editoriale “Michelangelo. I disegni più belli”, in cui la testa china e ritratta di profilo riporta la posizione de La Notte  della Sagrestia Nuova “fatta in forma di donna di maravigliosa bellezza”.

Secondo Johannes Wilde e la maggior parte degli studiosi a seguire il disegno dal vero ebbe come modello proprio il Mini al quale Michelangelo poi donò il quadro. Un quadro che viene idealizzato e reso nei lineamenti femminile, ancor più perfetto nel dettaglio a sinistra che si sofferma sull’arcata sopraccigliare e sulla palpebra  abbassata  con folte ciglia  ad ingentilire la figura femminile.

 

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