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Giotto, una nuova “immagine” per il Christus patiens

Crocifisso - Giotto - Santa Maria Novella, Firenze

E’ poco più che ventenne Giotto quando dipinge per i domenicani di Santa Maria Novella un grandioso Crocifisso destinato a rivoluzionare il corso della pittura. Secondo il recente restauro e le indagini correlate sarebbe infatti stato eseguito tra il 1288 e il 1289, agli inizi della sua carriera e mentre stava lavorando alla Basilica Superiore di Assisi. Per la sua magnificenza non poteva mancare tra le quaranta selezionate immagini che compongono l’itinerario artistico proposto da  “L’Oro di Dio” attraverso gli splendori dell’arte tra Duecento e Quattrocento.

Per molti anni lontano dalla Basilica fiorentina, nel 2000, dopo il restauro è tornato al centro della navata di Santa Maria Novella, sopra gli scalini che separano la Chiesa inferiore da quella superiore, in una collocazione abbastanza vicina a quella originaria che lo proponeva rivolto verso l’aula dei fedeli, sul “ponte” che venne demolito dal Vasari.

Fondamento della Chiesa, il Cristo non può che essere al centro dell’attenzione del visitatore e in alto, vessillo del Dio sovrano. Opera rivoluzionaria dal punto di vista stilistico ed iconografico in cui la lezione di Cimabue è filtrata dall’allievo attraverso la lente di una nuova sensibilità religiosa che restituisce a Cristo la sua dimensione terrena, affermando però l’essenza spirituale del mistero dell’incarnazione.

E’ grazie a Giotto infatti che per la prima volta che nella raffigurazione dell’immagine di Cristo vengono abbandonate le convenzioni anatomiche tipiche dell’arte bizantina e la posizione è quella di un vero corpo umano con il peso che gravita verso il basso.

Di dimensioni imponenti, per un’opera giovanile, testimonia il superamento delle precedenti immagini e attua un rinnovamento del Christus patiens narrando, per la prima volta nella storia dell’arte, la morte di un uomo vero con le forme pesanti di un corpo inerte che grava verso il basso. Il Cristo si sporge in avanti con la schiena e le spalle che sembrano staccarsi dalla croce mentre il bacino si piega verso sinistra, il capo è reclinato sul petto, i capelli cadono sulle tempie. Un’unica fonte di luce, altro radicale cambiamento apportato da Giotto in pittura, conferisce al chiaroscuro un effetto di realtà e dona la tridimensionalità del corpo dalla drammatica  potenza plastica.

Il nero, il rosso, sono i colori della passione e della morte, del sangue che sgorga dal costato trafitto, il corpo di Cristo è colto nell’istante dell’abbandono della vita , la materia esaltata dall’incarnazione divina in attesa della risurrezione.

Come sottolinea Padre Stefano Orlandi O.P. “ Nell’uomo vero, dipinto in croce da Giotto, c’è l’adesione perfetta alla lotta dei Domenicani contro l’eresia catara che sosteneva l’assoluta negatività della materia considerata diabolica rispetto allo spirito. La vittoria sull’eresia che negava la divinità dell’umanità di Cristo rese possibile l’umanesimo che è civile e cristiano al contempo e fondamento della civiltà, che in virtù delle sue radici cristiane, ha potuto proclamare la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza di tutti gli uomini contribuendo in maniera determinante alla definizione dei diritti umani che, nell’interesse generale, dovranno essere universalmente riconosciuti”.

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