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Masaccio, il “Giotto rinato che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò”

Masaccio e Masolino "Sant'Anna Metterza" 1424-1425 , Firenze Galleria degli Uffizi

Copatrona della città di Firenze è a Sant’Anna Metterza che è dedicato il celebre dipinto la “Madonna col Bambino e sant’Anna“, oggi conservato alla Galleria degli Uffizi, in cui l’arte di Masaccio si unisce a quella di Masolino, innovandola e considerata un’ opera chiave del primo Rinascimento fiorentino. Menzionata per la prima volta nella chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio, dove il Vasari la vide nel 1568, pare che a commissionarla sia stato Nofri d’Agnolo Buonamici, tessitore di drappi che deteneva il patronato dell’altare di Sant’Anna nella chiesa.

Fu Roberto Longhi nel 1940 ad avanzare l’ipotesi, in seguito accettata dalla comunità degli studiosi, di due autori diversi, Masaccio per l’esecuzione della Madonna, il Bambino e l’angelo alla destra vestito di verde e rosso, Sant’Anna e gli altri angeli ad opera di Masolino. In sintesi si tratta  dell’opera più antica pervenutaci, frutto della collaborazione dei due artisti che lavorarono insieme alla Cappella Brancacci alla Chiesa del Carmine.

Messa a fare da terza” o “ medesima terza” è il significato della parola “Metterza”, specifica tipologia iconografica in cui oltre alla Madonna e al Bambino, viene raffigurata Sant’Anna come terza per ordine di importanza. Una modalità tradizionale di raffigurare Sant’Anna che a Firenze, dopo la cacciata del Duca D’Atene Gualtieri VI di Brienne avvenuta il 26 luglio, era oggetto di particolare devozione  e particolarmente diffusa tra gli artisti dell’epoca.

Quasi per un’ironia della sorte, l’opera che, sotto l’egida di Masolino, avrebbe dovuto sancire l’unione tra i due artisti, certifica nella realtà  le loro distanze ed afferma i nuovi principi figurativi di cui Masaccio si fa portavoce. L’intervento del giovane artista sposterà il baricentro dell’opera che non sarà più Sant’Anna ma la Madonna ritratta in primo piano con il Bambino. Alla figura della madre della Vergine, priva di rilievo, si contrappone la naturalezza con cui Masaccio rende le rappresentazioni che gli vengono affidate, quasi reali, tridimensionali.

Non a caso il Vasari nelle sue Vite di lui ebbe a dire “con ciò sia che le cose fatte innanzi a lui erano veramente dipinte e dipinture, ove le sue molto più si dimostrano vive e vere che contraffatte”. Robusto e vivace il Bambino è un infante in carne ed ossa che solo la presa decisa della madre è in grado di tenere a freno.

Solidi e modellati dal chiaroscuro della luce che proviene da sinistra, la Vergine e il Bambino hanno una consistenza volumetrica che deriva da Giotto ma con una forza plastica che ricorda Donatello come se il lavoro iniziato da Giotto fosse stato da lui ripreso per portare la pittura italiana dal Medioevo al Rinascimento, come sottolineato da  Bernard Berenson. “ Giotto, rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò”.

L’opera che abbiamo visionato è uno dei quaranta capolavori selezionati per l’edizione di pregio “Oro di Dio dedicata a Giotto e ai maestri toscani tra XIII e XV secolo che reca un saggio introduttivo del medievista internazionale Franco Cardini.

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