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Messer Giorgio amico caro, le lettere di Michelangelo a Vasari

Giunto è già ‘l corso della vita mia,/con tempestoso mar, per fragil barca,/al comun porto, ov’a render si varca/conto e ragion d’ogni opra trista e pia./ Onde l’affettuosa fantasia/ che l’arte mi fece idol e monarca/conosco or ben com’era d’error carca/ e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia./ Gli amorosi pensier, già vani e lieti,/ che fine or, s ‘a duo morte m’avvicino?/ D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia./ Né pinger né scolpir fie più che quieti/ l’anima, volta a quell’amor divino/ c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia”.

Il 19 settembre del 1554 Michelangelo in una lettera indirizzata al Vasari che lo esorta a raggiungere Firenze risponde che non può farlo perché impegnato nei lavori alla fabrica di San Pietro anche se il suo desiderio sarebbe di morire a Firenze per ricongiungersi con i suoi cari, scrive inoltre questo bellissimo sonetto dedicato all’approssimarsi della morte e alla caducità della vita umana che ci svela un Michelangelo poeta, artista totale in grado di incarnare l’eccellenza dell’arte rinascimentale.

Questa lettera insieme ad altre inviate a “Messer Giorgio amico caro” fanno parte di una mostra che è stata appena inaugurata a Palazzo Medici Riccardi dal titolo “Michelangelo e Vasari. Preziose lettere all’”amico carodall’Archivio Vasari, a cura di Elena Capretti e Sergio Risaliti, che per la prima volta a Firenze espone al pubblico i documenti più importanti conservati ad Arezzo al Museo Casa Vasari. “Un lembo del secolo d’oro” come ebbe a definirlo Ugo Ojetti sulle pagine del Corriere della Sera nel 1908 quando Giovanni Poggi, allora direttore del Museo Nazionale del Bargello lo rinvenne nell’Archivio Spinelli di Arezzo.

A questa carte, così come alla sua opera artistica e letteraria, Giorgio Vasari affidò il compito di “lasciar fama” e di combattere la “voracità del tempo”. Le carte vasariane, oggi vincolate alla Casa Museo di Arezzo, sono la diretta testimonianza della vicenda umana e artistica del Vasari ( 1511- 1574) e dei suoi rapporti con i committenti, Cosimo I de’ Medici tra tutti e con i maggiori artisti del suo tempo, in particolare con Michelangelo di cui si considerava erede spirituale. Sono proprio le lettere inviate tra il 1550 e il 1557 da Michelangelo che si trova a Roma a “Messer Giorgio amico caro” in Firenze, il segno di questo profondo rapporto tra i due artisti, carte private che ci offrono uno sguardo su Michelangelo anziano, ai suoi ultimi anni pronto però a confrontarsi con le proprie debolezze, gli affetti, le ultime meditazioni sull’arte e l’architettura.

Queste lettere contengono tre sonetti, considerati il testamento spirituale dell’artista, tra cui “Giunto è già il corso della vita mia” che vi abbiamo riportato integralmente, in cui Michelangelo che in vita non volle mai che le sue liriche fossero pubblicate, si fa interprete degli amati maestri Dante e Petrarca e traduce in versi una sorta di confessione, come artista e come uomo avverte di essere arrivato al “comune porto” scampando al mare tempestoso della vita e trova consolazione nell’aggrapparsi al legno della croce.

Documento di eccezionale valore morale e alto significato spirituale, in queste carte tarde traspare l’angosciosa riflessione sulla morte e sul giudizio divino, il senso di colpa e la disaffezione dall’arte. Michelangelo pensa alla Passione di Cristo e riflette sul tema della crocifissione e della resurrezione, una meditatio mortis che sarà grande fonte di ispirazione per le sue ultime opere come gli ultimi disegni  alcuni dei quali selezionati per l’opera editoriale “Michelangelo. I disegni più belli” e le ultime sculture come la Pietà Bandini e la Pietà Rondanini.

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