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“Lacerba”, l’avanguardia letteraria oltre la rivista

Stilografica 1913 "Lacerba"

Tra le riviste di avanguardia filosofica e letteraria che ebbero vita a Firenze tra gli inizi del Novecento e lo scoppio della prima guerra mondiale un posto di assoluto rilievo spetta a “Lacerba”, la rivista creata da Giovanni Papini e Ardengo Soffici che presero le distanze e poi separarono dal contesto culturale de “La Voce” fondata e diretta da Giuseppe Prezzolini nel 1908.

Il primo numero di Lacerba uscì il 1 gennaio del 1913 e proseguì fino al 2 maggio 1915, prima con cadenza quindicinale poi settimanale, in tutto vennero pubblicati 69 numeri. Ai due fondatori si aggiunsero Aldo Palazzeschi e Italo Tavolato, quest’ultimo assunse la responsabilità della rivista in occasione del viaggio a Parigi di Papini, Soffici e Palazzeschi e a poco a poco vi approdarono tutti i principali protagonisti del movimento futurista, ad iniziare dal suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti, ai pittori Umberto Boccioni e Carlo Carrà e il musicista Luigi Russolo.

Il nome della rivista fu scelto da Ardendo Soffici per evocare l’importanza che per lui aveva avuto la lettura del celebre sonetto di Cecco d’Ascoli “L’Acerba”, scoperta che fece proprio a Parigi, nella biblioteca del quartiere latino e fu anche di Soffici il disegno della testata realizzata con caratteri “etruschi”. Il titolo ascoliano con chiari riferimenti battaglieri evocava sia l’animale sacro alla dea della Caccia e sia il sapore aspro di un frutto non ancora maturo e per questo il celebre verso “ qui non si canta al modo delle rade” comparve sotto il titolo a suggellare questo rapporto con il poeta del Trecento.

Pubblicata dal tipografo- editore Attilio Vallecchi, Lacerba non aveva un vero e proprio direttore e per i primi due anni la responsabilità fu del gruppo dei suoi fondatori con una organizzazione essenzialmente redazionale, nell’occhiello del numero 3 della rivista datata 1 febbraio si legge infatti “ La rivista non ha un vero e proprio direttore. Si potrebbe dire che ne ha piuttosto tre o quattro, ma in fondo non ne ha nessun. In conclusione ognuno di noi è responsabile degli scritti pubblicati sotto il suo nome”.

Il primo anno la rivista ebbe un formato tipografico di 25X35 cm. e venne messa in vendita a 4 soldi, anche per il secondo la cadenza sarà quindicinale con un formato leggermente più grande, di 27X37 cm. e identico prezzo. Il 15 agosto del 1914 il prezzo viene diminuito a 2 soldi per aumentarne la diffusione e i caratteri etruschi del titolo sui colorano di rosso. Il terzo anno di uscita si apre con il numero del 1 gennaio del 1915, con periodicità settimanale mentre la direzione viene assunta da Giovanni Papini e il prezzo rimane di 2 soldi, in tutto saranno 21 i fascicoli, fino al 22 maggio.

La storia di Lacerba non fu certo lineare ma soggetta e continui mutamenti di rotta e in questo Giovanni Papini ebbe un ruolo decisivo per le scelte che via via venivano prese, sia nella direzione futurista che in seguito nella prospettiva di un nazionalismo interventista fino alla rottura con Marinetti e i futuristi. Come ebbe a notare Luigi Baldacci “ Fatta da ex vociani estremisti che capivano molte cose ma non avevano mai capito lo spirito critico che informava “La Voce”, “Lacerba” è l’organo ufficiale e più scalmanato dell’interventismo italiano, soprattutto dopo l’agosto 1914, da quando diventa, ma non è poi precisamente vero “soltanto politica”, e al tempo stesso è una rivista che mira a promuovere un discorso, tecnico letterario e tecnico-artistico nella lingua delle grandi avanguardie europee, che resta indubbiamente all’attivo della cultura italiana del Novecento.

A “Lacerba”, Vallecchi ha voluto dedicare una superba stilografica da collezione, la stilografica 1913, in edizione limitata a 913 esemplari, in resina vegetale nera con cappuccio, fusto, fondello e clip in argento sterling 925, pennino in oro 18 kt il cui decoro principale si ispira al tema artistico della “Danza serpentina” di Gino Severini che è contenuta all’interno della rivista. La stilografica 1913 riassume l’esperienza dirompente di “Lacerba” nelle forme di un vero e proprio capolavoro orafo.

 

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