“Quanti secoli di scavo nei meandri della creazione artistica avevano reso possibile quella pittura? – le parole sono di Primo Conti che nonostante la giovane età, appena tredici anni, ci regala una visione puntale dell’ Esposizione di pittura futurista di Lacerba organizzata da Ardengo Soffici con Ferrante Gonnelli in un locale in Via Cavour nei pressi della libreria il 30 novembre del 1913– Facendomi largo a spallate e a colpi di gomito mi portavo da un angolo all’altro di quell’ambiente che mi accoglieva come fossi rientrato da un lungo viaggio, e non potevo fare a meno di urlare, fra tante urla, tutto quello che pensavo e sentivo. Intanto mi accorsi che un gruppo di giovani che mi aveva adocchiato e mi veniva dietro senza perdere una mia parola.
A un certo punto il più alto di loro mi fermò e disse. “Scusi, ma lei che è un bambino, tutte queste cose dove le ha imparate? Chi gliele ha dette? E’ la prima volta che si sentono cose di questo genere, qui dentro!” “ Gli risposi che non parlava con un bambino ma col pittore Umberto ( Primo) Conti e che sarei stato felice di mostrargli i miei quadri. Quel giovane era Giovanni Papini, e lo accompagnavano Carrà, Marinetti, Soffici e Palazzeschi. Si assentò un momento e tornò con una fotografia in mano: rappresentava la Sintesi di un paesaggio autunnale di Soffici e portava in calce questa dedica scritta di suo pugno, firmata e datata 6 dicembre 1913 “Al più giovane e al più intelligente visitatore dell’Esposizione Futurista”.
Ebbe grande successo la prima mostra di pittura futurista a Firenze che è stata rievocata all’interno della rassegna in corso alla Galleria degli Uffizi dal titolo “Scoperte e massacri Ardengo Soffici e le avanguardie a Firenze” dove accanto a “Ritmi di oggetti” di Carlo Carrà proveniente dalla Pinacoteca di Brera una sorta di modello per le tele cubo- futuriste di Soffici del 1913 e dello stesso Soffici presenta “Scomposizione dei piani di un lume”, “ Sintesi di un paesaggio autunnale” e “Scomposizione di piani di zuccheriera e bottiglia”, troviamo due Studi di Umberto Boccioni provenienti dalla Estorick Collection di Londra che ricreano l’atmosfera delle opere di Boccioni esposte che all’epoca furono il dipinto “ Testa + luce + ambiente” e il trittico degli Stati d’animo oggi conservato al Museum of Modern Art di New York.
Capolavori che lasceranno in un certo senso perplesso lo stesso Soffici che purtroppo non riuscirà a comprendere a pieno l’espressione pittorica di Umberto Boccioni. Nella sua tarda autobiografia, “ Fine di un mondo”, del 1955, infatti scriverà come segue “ Quanto a Boccioni – altro allievo di Balla – si potrebbe dire la stessa cosa di Severini , non fosse che questi, vissuto a Milano e teorico ufficiale del Futurismo artistico, nello stesso tempo che cercava di giovarsi delle, assai mal comprese, invenzioni dei cubisti, applicava nei suoi dipinti, mescolandoli grossamente ad esse, i suoi principi del dinamismo plastico e del moto assoluto e relativo ( che le contradicevano); si serviva allo scopo di una colorazione e di una teoria ottocentesca lombarda o belga; ed il tutto poi in vista di una sorta di povero simbolismo tra letterario e teatrale, di cui trattava allora nelle terze pagine dei nostri giornali.
Sem Benelli, che era uno di costoro, scriveva infatti che sulla scena, ogni momento tragico o drammatico della rappresentazione, ogni passione, ogni sentimento di personaggi, doveva essere accompagnato, e come essere portato alla sua massima espressione, anche visibilmente, da un gioco di proiezioni luminose diversamente colorate ed i colori della quali si adeguassero agli stati d’animo dominanti nei vari punti della vicenda teatrale.
Ora Boccioni trasferendo questa puerile simbologia, dai colori delle luci agli elementi formali della sua pittura, di guisa che certe linee flosce e cascanti suggerissero, per esempio, l’idea di abbandono nella solitudine; altre forme e linee, ondulate, fiammeggianti, molli o altre, rigide, acute, fuggenti, evocassero altre idee e sentimenti aveva dipinto i tre quadri degli Stati d’animo, appunto : Gli addii, Quelli che vanno, Quelli che restano, nei quali, con una colorazione in parte fedele al concetto benelliano e un disegno secco, calligrafico, inespressivo alla Balla, erano caoticamente raffigurati corpi di gente presso il treno, nel treno in corsa, rimasti sulla banchina. Quadri esposti tra altri suoi di altra specie ma improntati del medesimo spirito estetico e carattere pittorico”.