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Michelangelo : Il magnifico studio per il “quadrone da sala”, la “Leda”

Ancora in mostra per qualche giorno, l’esposizione in corso alla Fondazione Buonarroti “Il primato del disegno. Sedici disegni di Michelangelo” è stata infatti prorogata fino a lunedì  15 maggio, il celebre disegno con gli “Studi per la testa della Leda” è unanimemente considerato uno dei pezzi più importanti della produzione grafica del grande maestro e che non poteva mancare nella selezione dei quarantotto fogli che fanno parte della collezione in facsimile “Michelangelo. I disegni più belli” a cura di Cristina Casoli.

La testa china, ritratta di profilo, riporta alla posizione della Notte della Sagrestia Nuova, – scrive nel catalogo la curatrice della mostra e presidente della Fondazione Casa Buonarroti, Pina Ragionieri – e ha una splendida sicurezza di disegno resa vibrante dalla evidente ripresa dal vero: per primo il Wilde, seguito dalla maggior parte degli studiosi, suppose che il modello fosse Antonio Mini, allievo dell’artista. Sarà inutile ricordare la frequenza in quei tempi di modelli maschili per immagini di donna; è invece da sottolineare come lo schizzo del particolare del naso e dell’occhio, con lunghe ciglia femminili, ben visibile in basso a sinistra, ingentilisca i tratti già assai sfumati e pensosi del profilo. Concorde è il riferimento del foglio alla Leda, il dipinto perduto la cui vicenda tocca momenti cruciali della biografia di Michelangelo, intrecciandosi con la complicata storia dei rapporti tra Alfonso I d’Este, duca di Ferrara e il Papa Giulio II”.

Nel luglio del 1512, recatosi a Roma dal Papa che gli tolse la scomunica, Alfonso I d’Este ebbe la possibilità di ammirare da vicino gli affreschi della volta della Cappella Sistina e di conoscere così Michelangelo che gli promise di dipingere per lui un quadro. L’occasione giunse nell’estate del 1529 quando Michelangelo che aveva ricevuto dai Nove della milizia l’incarico di mettere a punto per Firenze un sistema di fortificazioni si recò a Ferrara per studiare i sistemi difensivi e dove ricevette appunto la commissione per un dipinto raffigurante “Leda e il cigno” ispirato all’antico sia per il soggetto che per l’iconografia

Verso la metà di ottobre del 1530 il “quadrone da sala  era concluso, ma non giunse mai a Ferrara, il messo inviato dal duca per il suo ritiro nel vederlo davanti allo stesso Michelangelo esclamò “ Oh, questa è poca cosa” , una frase che fece molto arrabbiare l’artista che decise di donare il quadro, insieme ad altri disegni e al cartone preparatorio al suo garzone, Antonio Mini, un episodio narrato sia dal Condivi, biografo ufficiale e ripresa anche dal Vasari nella seconda edizione de Le Vite, il quale lo portò con se in Francia nel 1532 insieme ad altri disegni e cartoni del Maestro per venderli.

Come osserva Cristina Casoli “ La distruzione dell’opera, nel XVII secolo, ci ha privato di un capolavoro tra i più originali e suggestivi della produzione michelangiolesca, ispirato – come possiamo dedurre dalle incisioni che ne perpetuano la memoria, come quelle di Cornelis Bos e di Nicolaus Beatrizet, o da copie e derivazioni nelle tecniche più diverse, tra le quali il famoso dipinto della National Gallery di Londra attribuito al Rosso Fiorentino – a composizioni classiche, dai sarcofaghi romani ai cammei antichi. Michelangelo – prosegue la studiosa – anche in ragione del prestigio della committenza, deve aver fatto precedere il lavoro da un nutrito numero di disegni, ma di tutti i possibili studi solo pochi ne sopravvivono, fra i quali il foglio di Casa Buonarroti ( inv. 7 F recto)  tra i pezzi più belli e raffinati dell’intera produzione grafica del Maestro”.

 

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