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Michelangelo “il giudizio di quello uomo fussi tanto grande che non si contentava mai di cosa che e’ facessi”

Giunto è già ‘l corso della vita mia / Con tempestoso mar, per fragil barca, /Al comun porto, ov’a render si varca/Conto e ragion d’ogni opra trista e pia./Onde l’affettuosa fantasia,/ Che l’arte mi fece idol e monarca/ Conosco or ben, com’era d’error carca, / E quel c’à mal suo grado ogn’uom desia/ Gli amorosi pensier, già vani e lieti,/ Che fien or, s’a duo morte m’avvicino?/ D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia./ Nè pinger né scolpir, fie più che quieti/ L’anima volta a quell’amor divino/ C’aperse a prender noi n’croce le braccia

Appartengono allo stesso periodo, quello della maturità, intorno al 1555, una delle poesie più belle di Michelangelo Buonarroti e uno dei suoi capolavori scultorei, la Pietà Bandini oggi conservata nella Tribuna intitolata al genio rinascimentale all’interno del Nuovo Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

Un gruppo scultoreo che testimonia la grande fede dell’artista che aveva pensato a questa opera per l’altare romano dove pensava di essere sepolto. L’anziano maestro ritrae se stesso nelle sembianze di Nicodemo che in una posa di grande drammaticità adagia il corpo di Gesù tra le figure di Maria e di un’altra donna, ecco perché sarebbe più corretto parlare di Deposizione e non di Pietà.

Iniziata tra il 1547 e il 1550, l’opera venne abbandonata dal maestro nel 1555 che la mutilò rompendo il marmo in più punti, lo stesso Vasari ne parlerà “ Lavorava Michelangelo quasi ogni giorno per suo passatempo intorno a quella pietra che s’è già ragionato, con le quattro figure, la quale egli spezzò in questo tempo per questa cagioni: perché quel sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scalpello; o fusse pure che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande che non si contentava mai di cosa che e’ facessi: e che e’ sia il vero, delle sue statue se ne vede poche finite nella sua virilità, chè le finite affatto sono state condotte da lui nella sua gioventù, come il Bacco, la Pietà della Febre, il Gigante di Fiorenza, il Cristo della Minerva, che queste non è possibile né crescere né diminuire un grano di panìco senza nuocere loro...”.

L’opera venne ricomposta dall’assistente di Michelangelo, Tiberio Calcagni e poi venduta a Francesco Bandini, i suoi eredi in seguito la venderanno a Cosimo III nel 1671. Il Granduca di Toscana tre anni dopo la fece trasportare, via mare, da Roma a Firenze, posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo nel 1721 venne trasferita nella Cattedrale e collocata dietro l’altare maggiore difronte all’altare del Santissimo, nel 19333 fu nuovamente spostata quando venne ricollocata in una cappella del transetto nord del Duomo e poi nel 1980 quando venne portata al Museo dell’Opera.

Oggi è una delle maggiori attrazioni per il pubblico che da ogni parte del mondo viene a visitare il Nuovo Museo dell’Opera del Duomo, nel suggestivo e scenografico allestimento firmato dall’archietto Adolfo Natalini che esalta la bellezza di questo straordinario capolavoro posto su una base larga, quasi fosse un altare per la sacra adorazione.

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