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Il Fiore dei Promessi Sposi, il romanzo di Alessandro Manzoni “spiegato” agli studenti

Dopo aver dichiarati e illustrati gl’Inni sacri, il Cinque maggio, i Cori delle tragedie e gli altri componimenti poetici d’Alessandro Manzoni, pensai di pubblicare il fiore delle prose di lui, con un comento che potesse riuscir utile alla studiosa gioventù d’Italia, e in special modo alle province non toscane. E il primo comento mi è parso di doverlo fare ai Promessi Sposi”. Si rivolge così al lettore Luigi Venturi con il suo “Il Fiore dei Promessi Sposi” con note illustrative, un libretto ad uso delle scuole e pubblicato a Firenze da Felice Paggi Libraio-Editore nel 1884 che abbiamo trovato nel mercato antiquario e che non poteva non destare la nostra attenzione.

Si tratta infatti di una delle prime edizioni scolastiche di quello che è ormai divenuto un romanzo popolare, “I promessi sposi”, una selezione di brani, una scelta antologica ad uso degli studenti, una sorta di Bignami ante litteram, ma con una particolarità, è una delle prime edizioni in cui le note a commento del testo mettono a confronto le due versioni, la “ventisettana” e la “quarantana”, che ha l’obiettivo di cogliere lo specifico semantico e l’uso di voci e locuzioni.

Pur non essendo mio intendimento di pubblicarlo per intero – scrive infatti il Venturi – e volendo scegliere i brani che posson dirsi bellissimi tra i belli, ho stimato di non riportarli così nudi e staccati come membra recise, ma di rannodarli insieme, ove sia necessario, con alcuni miei periodi, i quali, col dar compendiata notizia delle cose soppresse, serbino al racconto intonazione e vita, e faccian sì che il lettore possa tener dietro al filo degli avvenimenti, e formarsi una sufficiente idea di tutto il congegno del libro”.

Nessuno ormai ignora – prosegue venturi – come il Manzoni, poi ch’ebbe messa in luce la prima edizione nel 1825, desideroso che la sua “cantafavola acquistasse fattezze più schiette e più naturali” si studiò con l’aiuto di dotte o colte persone fiorentine di sostituire, nella seconda edizione del 1840, ai costrutti faticosi, alle frasi o dialettali o artificiale, e alle parole stantie, pescate per lo più nei classici e nei vocabolari quelle spontanee, disinvolte e briose del popolo, scelte dalla bocca dei ben educati e ben parlanti di Firenze”.

Ecco un esempio delle note, nel testo manzoniano si legge all’inizio del Capitolo I “…come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione”, questo il commento che riporta la precedente stesura Dai bastioni di Milano che rispondono verso settentrione.” A bastioni, che danno idea di fortificazioni, ha sostituito mura, forse perché ai tempi nostri, per l’uso a cui servono sono più mura che bastioni. E ben osserva il prof. Morandi, nel suo bel libro Le correzioni ai Promessi Sposi, che nel Cap. XI, laddove Renzo entra per la prima volta in Milano, il Manzoni, riferendosi a quel secolo, lasciò bastioni, com’era nella prima edizione.”

Più avanti sempre nel primo capitolo quando viene presentato Don Abbondio “…poi alzava il viso” la  nuova versione per “Poi alzava la faccia”. “ Quasi semprescrive Luigi  Venturi nella nota l’Autore ha corretto faccia in viso. Queste due voci hanno senso affinissimo: ma poiché viso prende la sua denominazione dall’organo della vista che ci risiede, perciò coi verbi alzare e abbassare meglio s’adopera che faccia. La qual parola s’usa piuttosto a denotare certe naturali apparenze e anche certe qualità morali; come Faccia allegra, rubiconda, equivoca, di galantuomo, di ladro e simili. E quanto ciò sia vero, vedremo tra poco nell’incontro di don Abbondio coi bravi”.

 

 

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