Iniziato nel 1909 e uscito a puntate sulla rivista La Fiera Letteraria, Uno, nessuno e centomila è l’ultimo e il più famoso romanzo di Luigi Pirandello in grado al meglio di esprimere il suo pensiero, lui stesso lo definirà il “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita“.
“ Avevo ventotto anni e sempre fino allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme : che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo. Vide forse mia moglie molto più addentro di me in quella mia stizza e aggiunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi pure, perché, come il naso pendeva verso destra, così…”
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, uno dei più complessi dell’universo pirandelliano, un giorno dopo l’osservazione da parte della moglie sul suo naso, leggermente storto, inizia ad avere una crisi di identità e inizia da parte sua una ricerca per scoprire chi è veramente e che lo porterà a cambiare la sua vita. Il protagonista arriverà alla follia in un ospizio, dove però si sentirà libero da ogni regola, in quanto le sue sensazioni lo porteranno a vedere il mondo da un’altra prospettiva. Vitangelo Moscarda conclude che, per uscire dalla prigione in cui la vita rinchiude, non basta cambiare nome proprio perché la vita è una continua evoluzione, il nome rappresenta la morte. Dunque, l’unico modo per vivere in ogni istante è vivere attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso.
“Nessun nome. Nessun ricordo oggi nel nome di jeri; del nome d’oggi, domani. Se il nome è la cosa : se un nome è in noi il concetto di ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori vagabondo”.
Ed è alla figura di Luigi Pirandello e al suo romanzo più famoso che è stata dedicata una stilografica da collezione dalle qualità straordinarie prodotta in un materiale antico come la lava vulcanica dell’Etna, un omaggio anche alla Sicilia, alla terra che gli dette i natali. Tutte le informazioni le trovi su www.firenze1903.it.