Il restauro della Pietà di Michelangelo, iniziato lo scorso novembre e interrotto a causa del Covid-19, è ripreso nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Per la prima volta, da lunedì 21 settembre, sarà possibile accedere al cantiere di restauro grazie a delle speciali visite guidate con i restauratori e gli esperti dell’Opera di Santa Maria del Fiore.
La prima pulitura della superficie, finita sul retro del gruppo scultoreo e in fase iniziale sul davanti, sta riportando alla luce le cromie frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti della Pietà di Michelangelo – dai segni di lavorazione realizzati con strumenti diversi, alle impronte dei tasselli del calco ottocentesco – alle tracce di interventi precedenti – nascosti sotto uno spesso strato di depositi di polvere misto a cere, accumulate e modificate in oltre 470 anni di vita dell’opera.
Le indagini diagnostiche, eseguite all’inizio dell’intervento e in corso per approfondire nuovi elementi portati alla luce, hanno fornito informazioni fondamentali per la conoscenza dell’opera e per il suo restauro: della Pietà di Michelangelo non sono presenti patine storiche, ad eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura, ancora in fase di accertamento. Confermata, invece, la presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco ottocentesco e non conseguenza dell’alterazione del marmo per solfatazione.
Sulla base di questi risultati è stato deciso di procedere prima con delle prove di pulitura, così da individuare la metodologia più idonea, e poi di iniziare l’intervento dal retro, dove era maggiore la presenza di depositi, utilizzando tamponi di cotone imbevuti di acqua deionizzata, leggermente riscaldata. Un metodo non invasivo, graduale e controllato.
Per le cere presenti sulla superficie del gruppo scultoreo, sia in modo diffuso (residuo di trattamenti che si sono susseguiti nel corso della storia) che puntiforme – gocciolature dovute alle colature dei ceri posti sull’altar maggiore della Cattedrale di Firenze, sul cui retro l’opera è rimasta collocata per 220 anni – è stato scelto di coadiuvare, nei casi più complessi, la pulitura ad acqua con l’utilizzo di bisturi.
Il restauro commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, è stato affidato a Paola Rosa – che ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso – coadiuvata da un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera, tra cui Annamaria Giusti già direttrice del settore dei materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure.
Il restauro odierno è da considerare il primo eseguito sulla Pietà dell’Opera del Duomo, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, è presumibile che la Pietà sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine. Risulta, invece, documentato il calco eseguito nel 1882, di cui rimane la copia di gesso conservata alla Gipsoteca del Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze. Si ha inoltre notizia di un trasferimento della Pietà alla Galleria dell’Accademia, dal 1946 al 1949, per studiare una collocazione migliore e in quell’occasione sembra che l’opera sia stata sottoposta a una “pulitura” di cui però non si conoscono i particolari.
Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa, quando Michelangelo era alla soglia di suoi 80 anni, la Pietà Bandini o dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due – quella giovanile vaticana e la successiva Rondanini – il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto. Michelangelo non solo non la termina, ma tenta di distruggerla in un momento di sconforto.
L’opera danneggiata è da lui donata al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendono al cardinale Luigi Capponi che la porterà nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vende a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà viene imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze dove viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimarrà fino al 1722, quando Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo viene spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più facilmente visibile.
Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando verrà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà viene posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era probabilmente destinata.