Alla fine del XVI secolo Gerolamo Vecchietti, persianista e membro del gruppo di ricerca della Stamperia orientale medicea, fondata a Roma nel 1584 dal cardinale Ferdinando de Medici, portò in Italia una copia del poema persiano Abu ‘l-Quasim Firdawsi o meglio conosciuto con il nome di Shahnama ovvero “ Il libro dei re”. Trovata in Egitto, a Il Cairo, la copia reca la data del 9 maggio 1217, a lungo non identificato e considerato un commentario del Corano, lo è stato solo nel 1980 grazie allo studioso italiano Angelo Michele Piemontese.Conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze attualmente si trova in esposizione alla Galleria degli Uffizi in occasione della mostra scientifica “Islam e Firenze. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento”.
Come sottolineato dallo studioso Claus-Peter Haase nel suo saggio “L’arte del libro” all’interno del poderoso catalogo della mostra “...con la data del 1217 non solo è il più antico conosciuto – il manoscritto successivo risale al 1276 – ma contiene inoltre una versione in gran parte differente da tutte le altre” e che secondo il curatore della nuova edizione critica dello Shahnama sarebbe la più vicina al presunto testo originale che risale all’anno mille. “…il monumentale codice – sottolinea Claus-Peter Haase – un aspetto del tutto insolito per questo poema epico, con grandi cartigli dorati e colorati con iscrizioni, simili in tutto e per tutto a titoli miniati di sure coraniche, ma qui di buon augurio per il proprietario : in scrittura cufica ornamentale, si trovano da una a tre volte in ogni pagina. I titoli dei capitoli sono scritti in oro e il testo della scrittura tonda flessuosa utilizzata nell’Anatolia selgiuchide, in concordanza stilistica con le miniature.”
Sempre proveniente dal Fondo Magliabechiano della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze un grande manoscritto dello Shahnama di produzione mista e appartenente alla scuola turcomanna di Tabriz della fine del Quattrocento. Il testo è stato scritto da vari calligrafi e presenta nove miniature nella parte centrale del testo. Lo stile è elegante e lineare, tra le miniature presenti una raffigura lo scià Bahram Gur a cavallo mentre uccide un drago con la freccia.
Conservati invece alla Biblioteca Riccardiana le collezioni di poesie, Divan , di alcuni poeti persiani molto apprezzati del periodo timuride, come il Divan, antologia di poesie persiane datato 1499-1500 di Nizam al-din Amir Shahi, introdotto da una doppia pagina miniata mentre sofisticata è la tecnica di inserimento della carta con il testo all’interno di margini di colori diversi e con ornamenti vegetali e zoomorfi del Divan di Amir Khusrau Dihlavi datato 1587-1588.
Ma il culmine della raccolta medicea si raggiunge grazie a due manoscritti conservati alla Biblioteca Medicea Laurenziana e che furono donati dall’ammiraglio ottomano Musfafà Pasha al granduca Ferdinando II de’ Medici tra il 1635 e il 1638. Si tratta de il Khamsa di Nizami conservato con l’intera legatura originale e che risale alla prima metà del Cinquecento e alla scuola di Shiraz. Il manoscritto è in mostra alla pagina che si riferisce al quarto poema epico delle “Sette immagini” dove si narra degli incontri di Shah Bahram con sette principesse nei sette regni del mondo ognuna con un abito di colore diverso che si trova in un padiglione corrispondente a un giorno della settimana, qui è con una principessa russa, vestita di rosso, nel padiglione rosso di martedì.
Sempre da Shiraz, ma posteriore, datato 1582, proviene il poema epico persiano Garshasp-nama e l’apertura è sulla pagina che mostra il giovane eroe Garshaps che su comando dello scià Zahhak ferisce a morte il drago della montagna Saqila. La miniatura occupa quasi completamente lo spazio della pagina, confinando la parte scritta ai bordi, inferiore e superiore, per enfatizzare le dimensioni del drago, che pare sospeso in una nuvola mentre il cavaliere lo colpisce con la spada alla gola.