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Divina Commedia. La Beatrice di Sandro Botticelli come la Venere-Simonetta Vespucci

Dante e Beatrice vengono rappresentati dentro una serie di cerchi concentrici, la forma che rappresenta al meglio la perfezione di Dio, in uno spazio rarefatto ed essenziale, quasi visionario, dove i personaggi vengono definiti da semplici linee del disegno. Siamo all’apice del viaggio all’interno della Divina Commedia così come Sandro Botticelli la interpretò alla fine del Quattrocento, su commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici realizzando le illustrazioni del poema dantesco e fornendo la sua personale visione del viaggio che dagli Inferi giunge sino alle vette del Paradiso.

Proprio in questa ottica, secondo alcuni studiosi, vanno interpretate le tavole nella loro diversità che dalla Voragine Infernale, il grande imbuto, l’unica pergamena completamente disegnata e colorata, porta alle diverse cantiche dell’Inferno colme di personaggi e anche di tocchi di colore, in stretta assonanza ai versi danteschi, per arrivare a una visione più aerea e allegorica nel Purgatorio e culminare infine in uno spazio visionario dove troviamo solo le figure di Dante e di Beatrice.

Una Beatrice che non potrà non avere le sembianze dell’icona rinascimentale per eccellenza, la ninfa Simonetta Vespucci, morta di tisi all’età di 23 anni nell’aprile del 1476 e divenuta un mito di bellezza femminile grazie alle liriche del Poliziano ma soprattutto grazie all’immagine idealizzata che Sandro Botticelli ci ha dato nei capolavori del Rinascimento italiano, come la Primavera, La Nascita di Venere, Pallade e il centauro, conservati nella Galleria degli Uffizi, naturalmente solo per citare i più celebri.

E’ la ninfa che diventa l’ideale della bellezza femminile nella Firenze neoplatonica, il corpo in movimento, le vesti fluttuanti secondo il gusto antico, le chiome sciolte che seguono i movimenti del vento, gli occhi luminosi come stelle, è la metamorfosi della donna che abbandona il suo status di dama per divenire ninfa.

Come precisa Giovanna Lazzi nel suo libro “Simonetta Vespucci. La nascita della Venere fiorentina” ( 2007) , “…L’occasione fu la giostra combattuta da Giuliano il 29 gennaio 1475. La persona che diede un volto a quell’ideale femminile fu Simonetta Vespucci, alla quale il giovane medici promise prima e dedicò poi la sua vittoria. Gli autori di questo fortunatissimo mito iconico furono Poliziano che trasfigurò la giovane nelle Stanze, Botticelli che ne disegnò il ritratto idealizzato, primo di una lunga serie, sullo stendardo del suo cavaliere,e Lorenzo de’ Medici, che ne fece , post mortem, la propria guida verso la conquista della vita contemplativa con il Comento e con i sonetti a lei dedicati”.

E ancora sottolinea la studiosa fiorentina “ …Ciò che fece di Simonetta la sans par fu la rapidità della successione degli avvenimenti che la videro, probabilmente suo malgrado, protagonista, dalla idealizzazione iniziatica della giostra alla morte improvvisa poco più di un anno dopo, che ne proiettò l’acerba immagine in un mondo ultraterreno privandola della consistenza umana e della sua stessa personalità. Paradossalmente, potremmo dire che Simonetta diventò un’icona proprio per l’inconsistenza della sua persona reale, e non è un caso che le notizie biografiche su di lei siano così scarse: perfetta per essere solo la rappresentazione di un’idea platonica”.

E’ nella Chiesa di Ognissanti a Firenze, che, insieme a quelle dei membri della famiglia Vespucci venne sepolta Simonetta e “ai suoi piedi” volle essere tumulato , nel 1510, anche colui che l’aveva resa immortale, il grande artista del Rinascimento italiano, Sandro Botticelli.

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