Dopo l’esposizione a Palermo a Palazzo Abatellis arriva a Milano, nella sede di Palazzo Reale, la grande mostra monografica dedicata ad Antonello da Messina, ancora oggi uno dei più enigmatici e straordinari artisti del Quattrocento italiano, curata dal professor Giovanni Carlo Federico Villa. Diciannove opere, quasi la metà delle trentacinque esistenti saranno in mostra al pubblico fino al 2 giugno. Grandi capolavori provenienti dai più importanti musei italiani e da collezioni private come la Vergine Annunciata, mentre dagli Uffizi l’importantissimi trittico de la Madonna col Bambino, il San Giovanni Battista acquistati nel 1996 quando Antonio Paolucci era Ministro dei Beni Culturali e il San Benedetto, dalla straordinaria qualità pittorica che la Regione Lombardia ha acquistato nel 1995 tramite Finarte e che è in deposito alle Gallerie degli Uffizi.
Dalla Pinacoteca Malaspina di Pavia Il ritratto di giovane gentiluomo, a lungo considerato l’autoritratto del maestro, trafugato dal museo nella notte tra il 10 e l’11 maggio del 1970 e recuperato sette anni dopo grazie al lavoro del nucleo di Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri, tra le attribuzioni del primo Novecento quella della Crocifissione, che Voll nel 1902 suggerisce di Antonello, che fa parte della collezione del Barone Samuel von Brukenthal a Hermannstadt.
Oltre cinque secoli per rimettere insieme l’eredità visiva di un grande protagonista dell’arte italiana, un’evento eccezionale che permette di vedere riunite insieme molte sue opere sopravvissute a terremoti, smembramenti, alluvioni, incuria, di ciò che è disperso in raccolte e musei sparsi per il mondo. Vasari nelle sue Vite lo presentava come colui che aveva ricevuto il segreto della pittura ad olio, l’alchimia meravigliosa di Giovanni di Bruggi, un Jan van Eyck ammaliato dalla grazia del giovane siciliano, che quella tecnica di misture e infinite stesure di colore traslucido aveva appreso e dal Nord portato nel Mediterraneo, facendo risplendere le tavole della sua avviata bottega messinese e poi le ocre, i lapislazzuli, le terre riflesse dai cieli veneti. Non era passato un secolo dal morte del pittore che il Vasari costruiva un romanzo: poiché si erano perse tracce e documenti, si orecchiavano storie e leggende; poi per altri secoli il silenzio.
Fu Giovan Battista Cavalcaselle, giovane appassionato d’arte a ricostruire il primo catalogo messinese, di lui in mostra a Milano i sette taccuini e fogli sciolti tratti dal fondo Cavalcaselle della Biblioteca Nazionale Marciana con annotazioni e disegni per una lettura dettagliata delle opere dell’artista siciliano volta a svelare la sua tecnica, diversa da quella degli artisti fiamminghi e dai veneti. A lui seguì l’opera dell’erudito messinese Gaetano La Corte Cailler che trovò e trascrisse documenti notarili che testimoniavano gli eventi della famiglia del pittore: il testamento della nonna, il ritorno in brigantino dalla Calabria della famiglia del pittore, la dote della figlia, il testamento di Antonello datato febbraio 1479. Altro non esisteva più a documentare la vita del grande artista, l’alluvione aveva disperso le ossa in un antico cimitero, più terremoti avevano distrutto prove documentarie a Noto e in altri paesi siciliani, Messina sarà distrutta dal terremoto e poi maremoto del 28 dicembre del 1908, salvo questi referti oggi non sapremmo nulla del più grande e ammirato pittore siciliano. La mostra realizzata in collaborazione tra Comune di Milano e Regione Siciliana e MondoMostre Skira.