L’arrivo a Bologna del Ritratto di Giulio II di Raffaello dalla National Gallery di Londra è stato il punto di partenza per lo sviluppo del progetto espositivo: “Giulio II e Raffaello. Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna”, a cura di Daniele Benati, Maria Luisa Pacelli ed Elena Rossoni, alla Pinacoteca Nazionale sino al 5 febbraio.
Tra i capolavori della ritrattistica rinascimentale, effige di uno degli uomini più influenti del suo tempo, l’opera è particolarmente significativa per Bologna poiché il papa della Rovere fu colui che ricondusse la città sotto il dominio della Chiesa, mettendo fine alla pseudo-signoria della famiglia Bentivoglio che l’aveva governata nel corso del XV secolo, e cambiandone così radicalmente il corso della storia. Ad evidenziare la portata, non solo temporanea, di questo evento, è la Direttrice della Pinacoteca, nonché co-curatrice della mostra, Maria Luisa Pacelli, nel suo intervento nel catalogo.
“L’inserimento del dipinto nell’ala del museo dedicata all’arte del ‘400 e del ‘500 è stata l’occasione per riorganizzarne il percorso, con lo scopo di mettere in luce alcuni degli episodi più significativi del Rinascimento bolognese, anche grazie a pochi altri mirati prestiti. Il progetto, costruito principalmente attorno al ricco patrimonio di dipinti e opere su carta del museo, trova una sua estensione e completamento in altre raccolte e siti monumentali cittadini, dove verrà posto l’accento sulle testimonianze artistiche di questa fase della storia bolognese.
In Pinacoteca si è scelto di iniziare l’esposizione con un focus sulla Cappella Garganelli: decorata dai ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti tra il 1477 e il 1485, fu una delle imprese pittoriche più straordinarie del Quattrocento bolognese, di cui il museo conserva il volto della Maddalena piangente dipinto da Ercole, unico prezioso frammento giunto fino a noi. L’altro estremo cronologico della mostra è il 1530, anno in cui Bologna ospitò l’incoronazione a imperatore di Carlo V d’Asburgo da parte di papa Clemente VII, imponendosi all’attenzione dell’intera Europa.
La prima parte dell’esposizione è dedicata all’arte fiorita durante il governo dei Bentivoglio, dagli anni ’70 del ‘400 fino al principio del nuovo secolo, quando la città vive una fase di relativo benessere e stabilità politica. La congiuntura favorevole e il mecenatismo della corte generano un ambiente propizio alla sperimentazione, cui concorrono artisti provenienti da altri centri, come i ferraresi del Cossa, de Roberti e Lorenzo Costa, mentre tra i bolognesi emergono le personalità divergenti di Francesco Francia e Amico Aspertini.
In questo clima culturale, arricchito all’alba del nuovo secolo dal sopraggiungere di opere di altri forestieri, come Perugino e Filippino Lippi, vengono promosse importanti committenze che, oltre a dare lustro alla città e ai suoi governanti, sono il cantiere di elaborazione di una cultura figurativa autoctona, come ben dimostra la raccolta di opere del periodo presente in Pinacoteca e questa mostra.
Con la riconquista di Bologna da parte della Chiesa, lo scenario cambia in maniera sostanziale. La città è un centro strategico per gli obiettivi politici di Giulio II che si preoccupa di affermare il proprio dominio non solo con l’azione militare e amministrativa, ma anche attraverso un programma d’interventi coerenti con la politica di propaganda artistica promossa nella capitale. A questo fine, vengono chiamati a Bologna due protagonisti delle committenze capitoline, Bramante e Michelangelo. Il primo interviene sui principali luoghi di rappresentanza del potere e, più in generale, sull’immagine della città; al secondo viene invece commissionata una statua in bronzo del pontefice da porsi sulla facciata della basilica di san Petronio. E mentre gli artisti dell’entourage bentivolesco lasciano la città o si ritirano ai margini della scena, ad imporsi è la lingua della “grande” arte romana, principalmente sotto il segno di Raffaello.
Sebbene non documentato a Bologna durante il pontificato di Giulio II, è infatti il maestro urbinate a influire maggiormente sulla produzione e il gusto locali da questo momento in avanti. A partire dal 1508, Raffaello è assorbito dalla decorazione delle Stanze Vaticane e non si allontana dalla capitale, ma l’eco delle sue imprese inizia già da ora a permeare l’ambiente artistico bolognese. Per registrare l’arrivo di sue opere in città bisognerà invece attendere la metà del secondo decennio, sotto il pontificato di Leone X. In particolare, sarà dirompente l’impatto dell’Estasi di Santa Cecilia, un capolavoro della maturità del maestro, collocato all’epoca in San Giovanni Monte e oggi in Pinacoteca.
Quest’opera complessa per quanto riguarda la concezione intellettuale e assai ricca di invenzioni sul piano iconografico e formale, ha avuto un influsso enorme sulla cultura pittorica bolognese, non solo nel corso del Cinquecento, ma fino ai Carracci, Guido Reni e oltre.
Sono ancora una volta i grandi fatti della Storia a influire sull’ultimo importante capitolo dell’arte rinascimentale a Bologna. È infatti a seguito del devastante Sacco di Roma del 1527 che il Parmigianino decide di lasciare la capitale per stabilirsi per qualche tempo in città. Dove vive una stagione di straordinaria maturità, da cui scaturirono opere originali, dal gusto raffinato e dall’umore inquieto, come la Madonna di Santa Margherita della Pinacoteca, la cui solida fortuna nell’ambiente bolognese è testimoniata in maniera inequivocabile dalle collezioni di opere del museo, dove ritroviamo la citazione letterale della figura della santa già a partire dal XVI secolo.
Le raccolte dell’istituto, e in particolare del Gabinetto dei Disegni e Stampe della Pinacoteca, sono in grado di documentare un altro fatto cruciale per la fortuna e la diffusione in Emilia, e non solo, dell’arte del Parmigianino, ovvero la sua intensa attività incisoria bolognese, di cui per la mostra sono stati selezionati alcuni esemplari di grande interesse. A chiudere il percorso è, infine, un disegno di Biagio Pupini che commemora l’incoronazione di Carlo V in San Petronio”.
Il progetto è realizzato in collaborazione con il Dipartimento delle Arti dell’Università degli Studi di Bologna e con l’Accademia di Belle Arti e fa parte del progetto di promozione cittadino dedicato al Rinascimento a Bologna che coinvolge anche altre raccolte e siti monumentali cittadini.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale.