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Michelangelo e “la tragedia della sepoltura”

Schiavo Barbuto - Particolare- Michelangelo

Chiamato da Giulio II, nel marzo del 1505 Michelangelo tornò a Roma per realizzare il mausoleo per il pontefice all’interno della basilica vaticana. Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un’opera grandiosa in grado di superare per dimensioni e bellezza ogni altro monumento e Michelangelo progettò a tale scopo una grande struttura a forma rettangolare e articolata in tre livelli, decorata con statue di marmo e rilievi in bronzo. Una volta approvato il progetto Michelangelo si recò a Carrara ma al suo ritorno il pontefice aveva già cambiato parere, ferito dal suo comportamento Michelangelo abbandonò Roma. Iniziava così quella che il biografo Ascanio Condivi definì “la tragedia della sepoltura” che avrebbe tormentato il grande maestro per circa quaranta anni.

I quattro Prigioni, oggi conservati alla Galleria dell’Accademia nella Tribuna del David, facevano parte del contratto del 1516 e rimasti allo stato di bozza furono lasciati dell’artista nello studio fiorentino quando nel 1534 partì definitivamente per Roma. Figure colossali rimaste incompiute che esercitano sull’osservatore un impatto emotivo enorme, corpi che lottano per liberarsi dalla massa della spessa materia in cui si trovano imprigionati e la suggestiva emersione di alcune parti che ci svela alcuni dettagli della tecnica utilizzata da Michelangelo nella scultura.

Se il Vasari aveva descritto il metodo michelangiolesco come il progressivo affiorare di una scultura immersa in una vasca d’acqua in cui il livello via via diminuisce, l’affiorare delle forme dalla materia da parte di Michelangelo avveniva prima con gli elementi sporgenti e attaccando il marmo da un solo lato, per poi liberare i contorni dell’intera figura.

Le varie fasi del processo sono visibili attraverso le quattro sculture, dall’ “Atlante” ancora nascosto nel marmo, allo “Schiavo Barbuto” ( nella foto)  quasi completato, attraverso le fasi intermedie dello “Schiavo giovane” e dello “Schiavo che si ridesta”. Fondamentale era per Michelangelo l’articolazione del torso, fulcro della costruzione della statua mentre i tratti del volto vengono totalmente trascurati.

Dal punto di vista stilistico “I prigioni” si rifanno alla statuaria antica di origine ellenistica, come il Gruppo del Lacoonte che venne scoperto nel 1506 a Roma alla presenza di Michelangelo e la loro funzione era quella di movimentare l’architettura del monumento sepolcrale per aumentare il senso di tridimensionalità.

Uno strano destino per le quattro sculture che, destinate alla magnificenza della tomba di un pontefice, furono poste nel 1585 ai quattro angoli della Grotta nel Giardino di Boboli, opera di Bernardo Buontalenti per volere di Cosimo I. Da qui vennero rimossi nel 1908 per far parte del corpus michelangiolesco che si andava mettendo su nella Galleria fiorentina.

 

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