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San Francesco e la Croce dipinta in mostra alla Galleria Nazionale dell’Umbria

Inginocchiato ai piedi della Croce in adorazione delle ferite di Cristo, per la prima volta nel 1272 un pittore noto con il nome di Maestro di San Francesco inserisce la figura del Santo di Assisi tra i personaggi di una grande croce, la Croce di San Francesco al Prato. E’ un nuovo motivo iconografico che dall’Umbria si diffonderà in tutti i luoghi della predicazione francescana e che affermatasi nel periodo del generalato di San Bonaventura è stata uno spunto di indagine che ha dato il via alla mostra “Francesco e la croce dipinta” in corso a Perugia alla Galleria Nazionale dell’Umbria e a cura di Marco Pierini che documenta lo sviluppo della croce dipinta a partire dagli anni 70 del Duecento fino al primo ventennio del Trecento.

Sospese in asse con l’altare maggiore al termine della navata, come ci ricorda il documentale affresco di Giotto dedicato al Presepe di Greccio, la croce realizzata da Giunta nel 1236 per la basilica di Assisi per molti decenni a seguire fornirà il prototipo a cui uniformarsi fino ad arrivare a tale cambiamento individuato nella croce di San Francesco al Prato risalente al “temporae papae Gregorii X”, ma anche esemplari coevi di più piccole dimensioni per lo più usate per la devozione privata ma anche piccole croci usate per le processioni e per questo dipinte da ambo i lati.

“Raffigurare San Francesco in devota adorazione delle piaghe di Gesù – sottolinea Fra Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento di S. Francesco di Assisi, con il quale la mostra è in collaborazione, insieme alla Regione Umbria – ci introduce anche nella sua dimensione spirituale. Innanzi tutto, basta ripercorrere velocemente la sua vicenda biografica per accorgersi della centralità del mistero della croce: l’incontro con il Crocifisso di S. Damiano, l’abito confezionato a forma di croce, la familiarità con la lettera tau che diventa la sua firma, la frequente meditazione sulla passione di Gesù, le braccia sempre intrecciate a forma di croce nell’atto di benedire, sono solo alcuni degli esempi che si possono richiamare”.

Ovviamente il percorso espositivo, attraverso i nove capolavori, è anche un occasione per ripercorrere lo sviluppo dell’iconografia della croce stessa, tra Duecento e Trecento, che vede l’evoluzione del Christus Patiens secondo il modello di Giunta da Pisano, riletto da Cimabue e poi da Giotto in cui il corpo del Cristo  non si flette più ad arco ma pende gravato del suo peso, sino ad arrivare a uno dei più antichi archetipi del Christus Triumphans realizzato in ambito spoletino dal Maestro di Cesi alla fine del Duecento, dove al profilo di Francesco corrisponde quello di San Domenico, omaggio ai fondatori dei primi ordini mendicanti.

E’ un Santo che ricerca il contatto fisico con il corpo del Cristo, nella croce opistografa del Maestro di San Francesco, alla contemplazione delle ferite dipinte sul recto si passa a una scena di totale abbandono e partecipazione alla sofferenza del Cristo, in cui le mani sorreggono un piede sfiorato dalla guancia di San Francesco. “ Attraverso le stimmate – nota il curatore Marco Pierini direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria – infatti, Francesco condivide forma e sostanza del dolore di Cristo, aggiornando sulla propria carne le ferite dei chiodi  e conformandosi all’ “effigies viri crucifixi” ( Legenda Maior XIII,3). Conformitas che proprio durante la visione sulla Verna si concreta in un processo di trasmutazione  del corpo suggellato dalla comparsa delle stimmate. “Ma da qui comprese infine, per rivelazione di Dio, lo scopo per cui per divina provvidenza gli era stata mostrata una visione: affinché l’amico di Dio potesse conoscere anticipatamente che stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo, non mediante il martirio della carne ma mediante l’incendio dello spirito”.

 

 

 

 

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